La Sampdoria, come diceva anche il nostro Vujadin Boskov, ha un suo stile ed è inutile fare paragoni. Basta pensare agli ultimi episodi…
Cari amici di ClubDoria46, grazie per l’accoglienza ricevuta dal mio pezzo “stilistico”, primo di una serie che spero serva a illustrare bene le caratteristiche della nostra gente, eredi diretti e indiretti di Paolo Mantovani e, prima ancora, dei Ravano e dei grandi presidenti del passato.
Esecrato a sufficienza il gesto di un immaturo rincalzo granata, archiviato il risultato del campo che altro non è se non il capitolo finale di una violenza patita dai sampdoriani a casa loro fin troppo a lungo, dirò che dai commenti e dalle reazioni – pressoché tutti positivi – non posso che essere confortato nella tesi di partenza: “Noi siamo noi…”.
Dalla faccina che ride – non si sa perché, se uno ha letto l’articolo o è d’accordo o si impetta, ma c’è proprio poco da ridere – a chi ci dà dei nostalgici, da chi sostiene che il pezzo sia banale a chi dice che l’importante però è l’esito nefasto del campo e su quello va accettato il menaggio, da chi trova sempre il modo per non prendere le distanze da gesti inqualificabili a chi grida ai quattro venti che “degli altri non ci interessa niente”.
Ognuno stia sulle proprie pagine…
Ma sono sempre qui, ci si accorge che alcune schiatte commentino su pagine altrui testi dedicati e destinati ad altri e lo facciano senza nemmeno leggerli, ammesso che ne siano capaci. Quelli che più di ogni altro ha bisogno di un’urgente ripassatina di italiano.
E poiché nel dettare le regole di questa rubrica mi sembra di essere stato chiaro (si accetta il contraddittorio solo con chi può dimostrare di conoscere le cose come le conosco io, cioè benissimo) non ritengo di dovermi abbassare al livello di controbattere a commenti senza argomenti. Come è tipico di certe sponde delle quali continua a sfuggirmi il nome.
Premesso che da un punto di vista sportivo oggi il sampdoriano ha da stare zitto e muto (sebbene la debacle non sia roba di campo, ma di scrivanie e di secondini), subire il menaggio e votarsi a rispedirlo al mittente quando tornerà l’occasione, perché certamente tornerà…
Premesso quindi che di questa umiliazione, che non è quella di Pruzzo e Damiani – l’unica che riconosca valida: Boselli è argomento per nesci, Branco ha accompagnato uno scudetto – se ne sarebbe fatto a meno, e che non coinvolge l’anima blucerchiata, ma uno stupratore che ti è entrato in casa e che, a questo punto, i vicini acclamano perché ti sta facendo del male fisico dopo averti oltraggiato storia e costumi…
…tutto ciò premesso: abbiamo a che fare – non dico niente di nuovo – con cantastorie (o, meglio, “cantaleggende”), insuperabili nell’inventare di sana pianta fatti storici mai avvenuti o piegarne la realtà a proprio uso. Ma sarà argomento per future trattazioni.
Sampdoria, c’è poco da fare: lo stile non si compra al mercato del pesce…
Sampdoria, Noi siamo noi e… : lo stile e l’inutile paragonismo
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Nonostante le prese di distanza di qualcuno, cui va il nostro plauso, il refrain principale è sempre quello: “Anche voi”: Citando Scoglio (un falso interpretativo, ma che ve lo dico a fare?), Signorini (mai sfiorato una volta uscito dal terreno di gioco, e vorrei vedere), derby di pulcini (parliamone), e addirittura Audero, per il quale parlano le immagini. Ma no, questa storia dello stile agli altri non va assolutamente giù: secondo una certa vulgata, siamo diversi nelle cose che contano, e siamo invece uguali in quelle che premono a noi.
E picchia sul Molo dell’Amicizia, sulla targa che parla di Bek e su quella che ricorda invece Paolo Mantovani: ho buona memoria, e so quanto sia stato faticoso far passare in Consiglio Comunale la dedica, con tanto di battage giornalistico per consacrare ad altri presidenti, ben più meritevoli, altrettante vie cittadine.
Davvero inutile fare paragoni…
La declinazione attuale è pericolosa, perché incide direttamente sul clima che si respira per le strade: è il “paragonismo” (“ma anche voi…”), quando non il “gombloddismo” (specialità della casa). Una sorta di giustificazionismo, il primo, per azioni che persino io non generalizzo, ma non poi così disapprovate dall’ambiente tutto, e una pericolosa deriva autoassolutoria, il secondo, che pretenderebbe che dietro agli atti più esecrabili degli ultimi giorni ci sia una sorta di strategia della tensione in salsa calcistica, dove le vittime in realtà sarebbero colpevoli per poter alzare il livello dello scontro e, in qualche modo, prendersi altrove – ad esempio, screditando la tifoseria avversaria – le rivincite che il verdetto del campo non ha saputo dare.
So da che parte arrivano, e non sono meravigliato. C’è solo da augurarsi che chi ha più buon senso lo usi: la situazione rischia di degenerare, e da “menarselo” a “menarsi” è un attimo.
Per chi si fosse perso il primo capitolo di “Noi siamo noi e…” di Giuseppe Viscardi, lo trova qui: Sampdoria, Pellegri? Aveva ragione Vujadin Boskov