Juan Sebastian Veron, la “Brujita”. Due sole stagioni alla Sampdoria, le sue prime in Italia, ma un legame che è rimasto fortissimo e che chissà che in futuro… In diretta Instagram sul profilo ufficiale della Sampdoria, Veron racconta la sua vita in blucerchiato. Un periodo che gli viene sempre in mente e che racconta a tutti: figli, amici e anche con i sui ragazzi dell’Estudiantes, squadra di cui è attualmente Presidente.
“Quando mi dissero che sarei andato alla Sampdoria, non sapevo quasi nulla se non della finale persa con il Barcellona.” Internet non era ancora diffuso e i social non esistevano. Per informarsi si chiedeva ai compagni di squadra:”Maradona ,con cui giocavo al Boca Juniors , ha iniziato a raccontarmi un po’ di questa squadra nella quale sarei andato”.
Juan Sebastian Veron non dimentica i suoi anni in Italia e soprattuto i suoi anni a Genova: “Essere arrivato in una squadra media ma comunque forte è stato fondamentale per la mia crescita. Anche in trasferta andavamo a fare la partita, abbiamo vinto due volte a San Siro per esempio…”
I tifosi erano abituati ai suoi goal soprattutto a Marassi. Quando gli chiedono il più bello della carriera, racconta sempre lo stesso: “Quello al Perugia, era uno dei primi. Provavo spesso con Sinisa Mihajlovic lo schema da calcio d’angolo. Ho visto arrivare la palla, l’ho calciata al volo e l’ho messa sotto l’incrocio. L’avessi fatto altre 10 volte sarebbe finita in curva (ride, ndr).”
La riconoscenza di Veron verso la società e i tifosi è davvero tanta: “Sono arrivato in un campionato difficile e non ero pronto. Ho avuto una società che mi ha aiutato ma i tifosi sono stati fondamentali. Spero che abbiano di me lo stesso bellissimo ricordo che ho di loro e della città”.
La parola che Juan Sebastian accosta più spesso alla Sampdoria è “famiglia”. Non e’ più la squadra di papà Paolo Mantovani, ma qualcosa di quell’atmosfera, evidentemente, si respirava ancora. “Roberto Mancini e agli altri compagni sono stati fratelli…pensate che rubavo la macchina a Fausto Salsano e gliela portavo due giorni dopo…e lui mi faceva un sorriso, come se fosse un fratello maggiore.”
“E poi la Famiglia Mantovani – continua – ma soprattutto Filippo che ha puntato su di me.” Ma anche i magazzinieri, il fisioterapista Mauro Doimi, lo staff medico…
Sicuramente una famiglia che tollerava qualche ragazzata, come ricorda sorridendo Veron: ” Avevo una Ferrari blu e la usavo per andare a Bogliasco, insieme al mio cane, un alano. Durante gli allenamenti me lo teneva Bosotin“
Poi però si entrava in spogliatoio e allora gli sguardi di Mancini, Mannini, Invernizzi e Salsano ti rimettevano a posto e ti guidavano: e questo per l’ex cerntrocampista blucerchiato è stato un aiuto fondamentale nella crescita.
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Capitolo allenatori: l’attuale presidente dell’Estudiantes non ha dubbi. “Per fare l’allenatore devi avere il carisma di Boskov e la pazienza di Eriksson. Il tecnico svedese – continua Veron – per me è stato fondamentale, io all’inizio ho fatto fatica ad ambientarmi nel calcio italiano e lui mi ha tenuto in squadra lo stesso, era rilassato non alzava mai la voce. Menotti invece secondo me non aveva il profilo per allenare in Italia, per la maniera che aveva di sentire il calcio”. E Boskov? Ovviamente la definizione è di un personaggio incredibile, carismatico, lucido e diretto. E adorato dalla Genova blucerchiata.
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“Adesso è un pochino più facile ambientarsi rispetto ai miei tempi. Bisogna avere pazienza e mettersi subito a contatto con la cultura italiana , con la gente…Io ad esempio non avevo nessuno con cui parlare spagnolo e mi ho dovuto subito imparare a parlare italiano”.
Ineludibile una domanda sul presente: “Accetteresti un proposta dalla Sampdoria?” chiede un tifoso. Veron è diplomatico ma non si sottrae: “Se ci fosse un progetto bello in futuro, tornerei in Italia, sono molto legato.”
In chiusura, ancora ricordi blucerchiati: “Arrivare a Marassi e cambiarsi di fianco ai campioni era fantastico, poi il centro allenamenti a Bogliasco, stupendo: mi ricordo che c’era un campo in terra battuta che usavamo quando pioveva sul campo principale.” E quel laccio al ginocchio, inizialmente usato per la tendinite, poi è rimasto per scaramanzia…
Ma chi era il più insopportabile in allenamento? E Veron qui non è più diplomatico e fa nomi e cognomi: Roberto Mancini. “Se potevo, evitavo di allenarmi con lui – dice ridendo – Adesso lo vedo più calmo, sarà l’età” conclude sempre sorridendo. ” Ma confessa che ha ancora la maglia blucerchiata che il Mancio gli ha regalato…