La Sampdoria di Marco Giampaolo ha chiuso il campionato a San Siro: novanta minuti con pregi e i soliti difetti di fabbrica…
Prima di consegnare alla storia questa stagione c’è tempo per qualche considerazione anche sull’ultima partita di campionato disputata dalla Sampdoria nella San Siro nerazzurra. Non certo una partita chiave, come sappiamo, indirizzata verso il nulla dalle notizie provenienti da Reggio Emilia, ma pur sempre un banco di prova per le nuove formule tattiche di Giampaolo, quelle che – parliamoci chiaro – hanno permesso di portare a casa la salvezza con sette punti nelle precedenti quattro gare.
Allora diciamo che contro un Inter forte e dalla ritrovata (ma tardiva) verve offensiva la Sampdoria non ha affatto sfigurato, pur tra le mille assenze pesanti e le duemila carenze strutturali.
La difesa, orfana di Colley, ha retto bene l’urto, pur con qualche affanno, guidata da un Audero in serata di grazia. A centrocampo Brozovic – fresco di nomina come miglior centrocampista del campionato – è stato depotenziato perfettamente dalla pressione blucerchiata, Calhanoglu (che come minimo è sfortunato: è al Milan e vince l’Inter, passa ai nerazzurri e vincono i rossoneri) viene limitato al compitino, Correa è fuori partita e Lautaro ne tocca pochi e sporchi. Il solo Barella, nella sua apparente anarchia, mette in apprensione i biancocerchiati, ma senza aiuti può relativamente poco.
In avanti la Sampdoria non riesce a creare molto, ma rispetto allo zero di qualche settimana fa sembra un Paradiso.
La Sampdoria di Giampaolo perde la gara numero dieci…
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Poi, certo, nella ripresa arriva in otto minuti un momento di frenesia nerazzurra che incanala la gara, ma rimangono nette alcune percezioni positive.
La prima è che Audero è tornato il portiere che nella Under 21 confinava il tanto promozionato Meret in panchina. Ci torneremo.
La seconda è che in generale schieramento e interpretazione siano azzeccati, un po’ meno gli interpreti. Banalmente, manca un Ronaldo Vieira meno timido e compassato e più intuitivo, e al suo fianco una delle mezze ali dovrebbe essere più tecnica e in grado di strappare.
La terza è che l’attacco abbia soluzioni limitate. Non è colpa degli attaccanti – Caputo, monumento ai suoi 11 timbri, non è quel tipo di giocatore, sebbene nelle ultime settimane sia cresciuto molto rispetto a quanto gli si chiedeva – ma dell’assenza di una punta di peso, una macchina da autoscontro che usi il rostro contro i difensori e ogni tanto prenda qualche pallone con la testa.
L’ultima osservazione è che, lo dimostrano i tre goal subiti in rapida successione a San Siro, questo schieramento così rigido (un po’ da calcio balilla) lasci troppo spazio tra le linee, dove le transizioni avversarie con imbucata centrale fanno spesso male, mentre ciò non accade né sulle fasce (complessivamente bene le due catene), né a difesa schierata.
Cose alle quali, con serenità, si potrà porre rimedio. Potenza di quel rigore parato da Audero, il momento chiave del campionato, destinato a diventare una pagina di storia capace di spazzare via leggende ben poco metropolitane…