Non avevi peli sulla lingua Sinisa Mihajlovic, ecco le frasi più celebri dell’ex calciatore e allenatore della Sampdoria.
Non si smette di ricordare Sinisa Mihajlovic e non potrebbe essere altrimenti. Il guerriero in campo e in panchina, l’uomo che ha visto i trionfi da calciatore, ma anche la guerra da ragazzo. E negli anni il serbo ha regalato tantissime perle dentro e fuori dal rettangolo di gioco.
Una persona vera, dall’inizio alla fine. Lo vogliamo ricordiamo così, con alcune delle sue frasi più celebri registrate nel corso degli anni.
Io sono nato a Vukovar, i croati erano la maggioranza, noi serbi la minoranza lì. Nel 1991 c’era la caccia al serbo: gente che per anni aveva vissuto insieme da un giorno all’altro si sparava addosso. È come se oggi i bolognesi decidessero di far piazza pulita dei pugliesi che vivono nella loro città.
La guerra lo ha segnato inevitabilmente. tante volte nel corse della sua vita ne ha parlato. Ha voluto ricordare piuttosto che dimenticare.
Prima della guerra per andare dai miei genitori dovevo fare 1,4 chilometri, ma senza ponti eravamo costretti a un giro di 80 km. Per mesi la gente ha sofferto ingiustamente. Bombe sugli ospedali, scuole, civili. Tutto spazzato via, tanto non faceva differenza per gli americani. Sul Danubio giravano solo delle zattere vecchie. Come la giudico? Ho ricordi terribili, incancellabili, inaccettabili.
Nel mio paese dovevi essere forte non per scelta ma per obbligo. Sono cresciuto così.
Poi c’è la Sampdoria, prima da calciatore e poi dal allenatore. Queste le sue parole del serbo, ricordando gli anni di Genova, con gli scarpini ai piedi.
Non ho mai dimenticato che la Sampdoria mi aiutò in momento difficile della mia carriera di giovane calciatore. Quando in difficoltà c’è stato il club non ho potuto dire di no. Ora però la Samp sta bene e io credo di aver saldato il mio ‘debito’ morale.
Sampdoria le farsi celebri di Sinisa Mihajlovic
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Un marchio di fabbrica le punizioni, tanti i gola messi a segno a segno. E Mihajlovic provò a spiegare come faceva.
Quando calcio imprimo molta forza. La palla si alza poi scende all’improvviso. Una volta ho segnato da 65 metri. Una volta, quando ero alla Stella Rossa, sono venuti quelli dell’università di Belgrado, per studiare la potenza, la traiettoria e la velocità. Sono stato alcuni giorni con questi signori. Avevano anche degli strumenti strani. Mi hanno interrogato a lungo, poi studiato e misurato. Risultato? Non sono riusciti a capire niente.
A me non piaceva giocare a calcio, a me piaceva solo calciare e mi ricordo che andavo, facendomi due chilometri a piedi, a un campo dove c’era una porta grande senza rete e mi mettevo là per 4-5 ore. Mettevo il pallone da una parte, tiravo, la andava dall’altra parte andavo di là e tiravo da quella posizione. Così per tutto il tempo, sempre a tirare.
C’è spazio anche per la storica tripletta segnata in campionato con la maglia della Lazio, proprio contro la Sampdoria.
Segnare tre goal su punizione diretta nella partita credo sia un record che in pochi potranno pensare di battere. In porta in quel Lazio-Sampdoria 5-2 c’era Ferron, che conoscevo bene e nel tunnel per di entrare gli dissi: “Oggi è meglio se non ti muovi, perché tanto se lo fai calcio sull’altro palo. Altrimenti sopra la barriera”. Andò così perché io sulle punizioni guardavo sempre il portiere fino all’ultimo metro di rincorsa.
Poi le parole sulla malattia, dopo la scoperta delle Leucemia nel 2019.
Non rinnego nulla di ciò che ho vissuto. Ma mi piace scoprire anche tutto ciò che non conosco. E se farsi amari da chi già ti ama è facile. Trovo stimolante anche convincere chi magari è prevenuto o vuole metterti alla prova.
Ho scoperto una parte di me che non conoscevo, vivo tutto più intensamente. Mi godo ogni istante e ho imparato a contare fino a 6-7, prima di arrabbiarmi. So che posso arrivare a 8. A 10 non chiedetemelo, non è roba per un uomo come me.