Cara Sampdoria sono arrivati i primi meritati fischi per una squadra che è sembrata senza gioco e soprattuto senz’anima. C’è delusione…
Amici di Club Doria 46, sampdoriani e sportivi tutti, ho un annuncio da fare: sono deluso. Ma tanto. E, sapendo di interpretare anche il pensiero di altri, vi dirò che la mia delusione è legata ad un “non succederà più” che invece sta ancora succedendo, ed è questo che mi lascia amareggiato.
Sono deluso perché non accetto più di vedere sconfitte a Marassi, nel mio fortino, in quello che, da solo, è stato spesso nella storia quell’elemento che ha colmato il divario contro squadre più forti, lanciandoci verso intraprese impensabili, e non mi riferisco solo a trofei e vittorie. Non accetto di vederne tre di fila, non contro avversari del nostro lignaggio, ma contro squadracce di parvenu del pallone, perdendoci.
Sono deluso perché davanti al tuo pubblico, soprattutto se e quando vai sotto, l’erba del campo a fine partita deve avere il colore della paglia, per come l’ho surriscaldata correndo verso la porta avversaria, e i pellegrini che hai di fronte non devono più varcare la linea di metà campo. Il loro portiere deve sembrare una maschera di fango che neanche alle terme, mentre il pallone del pareggio – almeno quello – viene risucchiato nella porta dalla Sud.
E sono deluso, perché se allo stadio mi avessero dato la distinta e i miei undici fossero stati quelli della squadra cara a Cronin e a Gorini, mi sarei messo a piangere dalla disperazione, e invece hanno vinto con pieno merito. I nomi non giocano, i cognomi neanche: non corrono, non fanno fatica, non creano. Non.
La Sampdoria delude tutti, nessuno escluso
Cara Sampdoria, sono deluso. Tanto deluso…
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Sono deluso perché all’evidenza questa squadra manca di tante, troppe cose, che è difficile comprendere cosa toccare per farla funzionare, come quando sei davanti ad un circuito stampato di un elettrodomestico guasto e non riesci a capire se è il diodo o il condensatore.
Ad esempio: siamo sicuri che la costruzione dal basso che tanti amano – io no, viva la Germania del 1974 – voglia dire tocchettare nella propria tre quarti, ora di qua, ora di là, spalle alla porta avversaria, con difensori e centrocampisti altrui che si ridisegnano con estrema calma, potendo poi alzarsi progressivamente sui tuoi portatori di palla? Che, per inciso, sono i difensori con i loro piedi da uomini rana, e non Cerezo, Brady o Veron?
Io no.
Siamo sicuri che velocizzare improvvisamente la manovra voglia dire cercare con palloni solitamente volanti i Borini, i Verre, i Pedrola, i La Gumina, di norma circondati da due o tre avversari, e per di più nello stretto?
Io no.
Siamo sicuri che il dominio nel possesso palla valga anche quando la tieni per un minuto e mezzo/due minuti a ridosso della tua area di rigore? Ecco, questa è una delle droghe del calcio moderno che lo hanno reso un gioco molto peggiore di quello che si vedeva fino a una quindicina di anni fa: la mania delle statistiche (quante palle perse, nella tua tre quarti, nel secondo quarto d’ora, rapporto tra tiri efficaci e tiri nello specchio, e via blaterando), che contagia e contamina la casalinga di Voghera non meno dell’avvocato cassazionista a corto di argomenti di diritto fallimentare.
Sampdoria, l’entusiasmo dei tifosi non trascina la squadra
Alla fine sono deluso perché l’estate sampdoriana è stata comunque all’insegna di una ritrovata e rinnovata voglia di Sampdoria, di blucerchiato sui campi, di “gonfia la rete”, e un po’ tutti ci contavamo. Invece no.
Mi piacerebbe parlare anche e ancora di più di tecnica, di allenatore, di modulo, di giocatori. Non dimentico nemmeno dove eravamo a metà maggio, e dove – e con che nome – abbiamo rischiato di essere oggi. Ma non vorrei che tutto questo diventasse un alibi per giustificare tutto, dall’allegra rassegnazione di una tifoseria unica per modo di stare e modo di raccontare (non condivido certe posizioni sulla storia che nulla hanno a che fare con il nostro mondo, perché nulla dimostrano di averne compreso, e io so comunicare solo nella mia lingua e nel mio stile, stile Paolo Mantovani), all’insulso trotterellare per il campo di acerbe promesse, di deludenti prime scelte, di traccheggianti prezzemolini, all’inesperienza manageriale, alla scelta di non esprimersi più di tanto quando, invece, forse sarebbe necessario battere i pugni sul tavolo e farsi sentire, dentro e fuori dal mondo Sampdoria.
Ma per adesso sospendo il giudizio. Diffido dei garantisti di tutti i giorni ma giustizialisti per novanta minuti.