La crisi Sampdoria nasce anche dalla mancanza di leader in campo e oggi non può essere Quagliarella seduto in panchina…
Non è mai facile scrivere a posteriori dopo una partita come quella tra Sampdoria e Fiorentina. Niente che non sia già stato detto e scritto, pareri, opinioni, accuse e responsabilità.
L’allenatore, la società, i giocatori, le trattative e le turbative, l’ambiente. Anche un po’ di sfiga e di arbitri.
Provo a essere lucido e a mettere a fuoco quello che mi sembra oggi il limite principale di questa squadra. La personalità. Quella che ti permette di avere reazioni giuste e di raddrizzare situazioni complicate, con la calma e la testa fredda, ma il cuore caldo.
Premesso che dall’arrivo di Stankovic qualcosa di diverso si sta vedendo, e mi riferisco ad esempio alle proteste sugli episodi arbitrali controversi delle ultime partite, credo che emerga con chiarezza un limite caratteriale evidente: mancano veri leader, in generale e per reparto.
In generale, perché la sempre più rarefatta presenza di Quagliarella ha di fatto privato la squadra di un vero capitano. Non perché il buon Bereszynski non sia all’altezza. Quanto perché il suo ruolo è piuttosto defilato (vogliamo parlare della centralità di Mancini o Volpi, o dell’autorevolezza di Palombo?), e per di più con l’ombra lunga di Quagliarella in panchina. Insomma, un Re che regna ma non governa…
Crisi Sampdoria, si sente la mancanza di leader e lottatori
Crisi Sampdoria, manca un leader e oggi non può essere Quagliarella…
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E più in dettaglio, ogni reparto manca di un punto di riferimento. Faccio l’esempio della difesa. Al netto delle paturnie da cessione, l’ottimo Colley delle prime stagioni blucerchiate era molto meno svagato, e vicino a lui giostravano personalità come Tonelli e Yoshida (ma ricordo anche l’ottimo Andersen), che quanto a muso non se la facevano raccontare da nessuno. Non bisogna essere “buoni”: bisogna possedere quel nonsoché, e i centrali della Sampdoria di oggi – salvo Audero, ma è un caso a parte – non lo hanno.
E i tempi di Praet e Torreira, ma anche di Ekdal e Thorsby, a centrocampo, erano cosa ben diversa dal pallido, timido Villar (finora una grande delusione) e dall’inutile Vieira.
Sulla trequarti un po’ di grinta la vedo esibire da Djuricic, e nessun altro sembra in grado di trascinare il reparto. Nemmeno il pur bravo Sabiri, lentamente scivolato verso il nulla.
Tutto riporta ad una squadra assemblata davvero molto male, nella convinzione che fossero sufficienti un certo numero di piedi buoni per farsela passare, in attesa di tempi migliori, che non stanno arrivando.
Il cambio di allenatore – doveroso e non più procrastinabile, e la scelta mi è parsa valida anche sul piano umano e professionale – ha probabilmente cambiato in peggio questo dettaglio. Chi è subentrato avrebbe probabilmente rinunciato ad un trequartista per una punta di peso, all’impalpabile Caputo (ma non è tutta colpa sua) per un incontrista, ad una seconda punta per tenere Candreva.
E siamo lì. I soldi, pur pochi, sì sarebbero potuti spendere diversamente, ma questo è il senno del poi.
Solo il Brasile del 1970 vinse il mondiale con una squadra di numeri dieci e senza un vero centravanti. Ma qui non vedo né Jairzinho, né Tostao, né Rivelino, né Gerson, né tampoco Pelé.
Sei goal segnati. Tre soli decisivi. Ho detto tutto…