Per parlare di Sampdoria l’amico e collega Giuseppe Viscardi scomoda Francesco De Gregori perché: qualcosa rimane, tra le pagine chiare e le pagine scure…
Cari amici di Club Doria 46, eccoci a riprendere il filo del discorso di qualche settimana fa, quando tutto, ma proprio tutto, doveva ancora succedere.
Che poi, pensiamoci bene, non è che sia ancora successo tanto: è solo cambiata la proprietà, il campionato nel quale giocare, l’allenatore, la sede del ritiro estivo, la squadra in tanti suoi elementi. E persino nei quadri societari. Caspita!
Però… però mancano ancora talmente tanti tasselli che il futuro resta ancora tutto da scrivere, o da decifrare: la partenza per il ritiro estivo è tra meno più di una settimana, e l’unica certezza è il pullman con il motore acceso. Chi ci salirà?
Ripartiamo da due certezze: la tifoseria blucerchiata e – se a qualcuno non piace chiamarlo stile – il modo di muoversi dell’intero ambiente. Due facce della stessa medaglia.
Lo stile? È il nostro…
Già: a qualcuno dà fastidio che si parli di uno “stile Sampdoria”. Si è visto con chiarezza nelle ultime, convulse settimane. Quando faccio formazione e metto alla prova le conoscenze dei miei discepoli, accade talvolta che qualcuno tenti strade e risposte completamente diverse da tutti gli altri. La mia reazione è sempre la stessa: o sei Nicolò Copernico, Galileo Galilei, più indietro ancora Tolomeo, e sei l’unico a postulare la sfericità della Terra, o il fatto che sia questa a girare intorno al Sole e non il contrario, e alla fine tutti devono venire nel tuo caruggio; oppure stai prendendo un abbaglio.
Lo dico perché se qualcuno continua a negare l’inesistenza di una certa diversità, sia pur annacquata e stinta dal tempo e dalle vicissitudini, quando tutti gli altri – e intendo tutti gli altri terzi, non parti in causa – sostengono il contrario, è presumibile che questo qualcuno sia assai parziale nelle sue vedute, e fortemente condizionato dalle appartenenze.
Sampdoria, cosa c’entra Francesco De Gregori con noi…
Sampdoria, e qualcosa rimane, tra le pagine chiare e le pagine scure…
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Eppure è quello che continuo a verificare su base quotidiana, leggendo qua e là commenti o asserzioni di chi non si limita a sentirsi “uguale”, o “non diverso”, ma nega in assoluto l’esistenza di una particolare essenza stilistica in tutte le componenti della sampdorianità.
Certo, molte cose sono cambiate, negli anni, e l’ho già scritto qualche riga fa: il tempo e le vicende hanno talvolta appannato un modo di essere che fin dai fondatori – passando da Ravano a Salatti e Colantuoni – hanno fatto della Sampdoria un microclima particolare, sublimato poi dalla presidenza Mantovani. Ma quando tiri le somme, diceva Francesco De Gregori, “qualcosa rimane, tra le pagine chiare e le pagine scure”.
Così mi tocca leggere o sentire attacchi al vetriolo che capovolgono addirittura l’esito e la dinamica dei fatti, facendo passare per “violente” o “piagnone” manifestazioni che invece hanno usato toni a volte molto forti ma sempre civili e mai fini a se stesse. Senza contare le accuse di “protezioni” più o meno occulte rivolte ora alla stampa, ora alle istituzioni pubbliche, ora alle gerarchie del mondo sportivo. Tesi che si commentano da sole.
Gli altri continuano a interessarsi di noi…
Mi fanno sorridere anche coloro che vogliono piegare le leggi ad un ipotetico giustizialismo di bottega, che dovrebbe dal punto di vista oggettivo far vergognare di non aver onorato tutti i debiti, fino all’ultima stilla, quando anche giuridicamente esistono chiari presupposti negoziali di segno opposto, e da un punto di vista soggettivo far sentire “collusi” i tifosi, come se fosse una loro responsabilità, confondendo le vittime con i carnefici di uno scempio che ha violentato in lungo e in largo un modo di essere che, ancora oggi, ci tiene ad essere diverso: meno serioso, meno ingrugnito, più scanzonato, più propenso a scherzarci sopra e a riportare le cose – anche il calcio, la cosa più importante tra quelle meno importanti – nel loro giusto alveo.
Da qui tentativi più o meno grotteschi di far saltare il banco, presenza graffiante fino all’insulto e in gran copia nei dibattiti della nostra sponda calcistica, accuse di connivenza con chissà chi, fino al goffo tentativo di sminuire le pietre miliari dell’essere sampdoriani: Paolo Mantovani, “La bella stagione”, la maglia più bella del mondo. Che, a differenza di altri, non ci diciamo mai da soli.
Non ci stiamo, non ci possiamo stare: magari ne vedremo ancora delle belle, chissà, ma per il momento siamo tornati a parlare di calcio, di 4-3-3, di chi potrà arrivare. Sperando di tornare a vedere qualche bella partita. Ce lo saremmo anche meritati, e non importa la categoria.