Enrico Mantovani, ex presidente della Sampdoria, ha raccontato le sue emozioni nel giorno di Eriksson, un giorno che né suo padre Paolo né Luca Vialli
Sampdoria-Reggiana è stata la partita dei playoff, ma anche quella di Sven-Goran Eriksson, che ha ricevuto l’omaggio della sua gente, di un Luigi Ferraris pieno come mai in stagione e de La Sud, che aspettava di salutare l’uomo della Coppa Italia del 1994.
E c’era anche Enrico Mantovani al Ferraris, presidente con Eriksson fino al 1997 con cui ha mantenuto un rapporto anche dopo la fine dell’avventura sulla panchina blucerchiata. E poi il saluto, quello che non hanno avuto suo papà Paolo e Luca Vialli, come affermato all’edizione genovese de La Repubblica:
Sven? Un amico, anche dopo la fine della sua esperienza a Genova. Una giornata emotivamente importantissima per Sven, devo confessare che ho pensato a Luca e a mio padre, che non avevano avuto questa possibilità.
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Dopo Eriksson arrivò Cesar Luis Menotti, scomparso da poco, che a Genova non è riuscito a dare il meglio di sé. Fu proprio Mantovani a portarlo al Ferraris, ma, dopo poco tempo si intristì:
Primo incontro? Avvenne a Barcellona, a casa di mio fratello, dopo esserci già sentiti telefonicamente. I contatti furono fondamentali perché credevo nella specializzazione dei ruoli e, malgrado Luis fosse un tecnico della vecchia guardia, aveva già un preparatore atletico e dei portieri. Era al passo con i tempi. Cosa non funzionò? Menotti era uomo da grande città, che amava vivere anche la notte, e a Genova si è intristito. A distanza di tempo, devo ammettere che non avevo valutato nel modo giusto questo aspetto. Non aveva problemi con il club o i giocatori.
Dopo Menotti ci fu il ritorno di Vujadin Boskov, con cui non ci fu neanche bisogno di parlare. Era la soluzione ideale per Enrico Mantovani. era uno che conosceva – eccome – l’ambiente ed era amato, amatissimo dai tifosi, che ancora oggi non lo dimenticano e non lo dimenticheranno mai:
L’addio di Menotti? Abbiamo trovato subito un accordo con Menotti, c’è stata totale disponibilità ad aderire alle nostre condizioni. Non era dispiaciuto, l’impressione è che non aspettasse altro. Ci siamo lasciati bene. È stato un vero signore. Convincere Vujadin è stato facilissimo. Sono andato a Belgrado, ci siamo abbracciati e non è servito altro. Non abbiamo neppure parlato di soldi. Non doveva essere stravolto niente, conosceva bene l’ambiente, era una soluzione ideale e ha fatto molto bene